nell'anno del Signore

Friday, June 16, 2006

Commenti al mio resoconto sulla sveglia mattutina in caserma da parte di una ragazza in palestra a boxe…: - eh sì, prima l’alzabandiera, poi la trombetta… dipende dall’alzabandiera comunque… no comment!!!

EI = ESERCITO INFELICE

Fra i vari concorsi ai quali ho partecipato già vi parlai di quello di Foligno lo scorso anno; all’epoca per pochi punti non superai la preselezione. Lo stesso concorso l’ho riprovato a marzo e questa volta mi andò bene e mi giunse a casa una AR che mi avvertiva di presentarmi presso il centro di Reclutamento dell’EI a Foligno alle 7.30 il 24 maggio, il giorno della memoria dei Fanti del Piave (che coincidenza involuta!). La raccomandata informava che il tempo che avrei passato nella struttura per espletare tutte le prove previste dal bando (test psico psycho, giochi con le frontiere –cioè le prove sportive- ecc…) sarebbe stato presumibilmente di giorni sei… Santi numi, apriti cielo… sei giorni??? Ho pensato che quella forse già faceva parte della selezione naturale in specie per noi donne sulla trentina e passa che mai erano entrate in una caserma. Già da tempo mi ero adoperata per preparare tutte le analisi che mi sarebbero servite. Mi ero fatta avvertire da un concorrente sul punteggio ottenuto alla preselezione per potere stare un po’ tranquilla e preparare gli esami con calma; epatite, rx torace, ecografia pelvica, test di gravidanza (!!!).
Pensando di trascorrere nel centro d’Italia almeno una settimana mi ero preparata un borsone un po’ più pieno del solito e come al solito più pieno delle cose che mi sarebbero meno servite. i.e. due libri come Harry Potter 5 e il Codice Da Vinci, prestatomi da una collega di botte in palestra.
Ero troppo curiosa di leggere il libro prima di vedere il relativo film al cinema; per ora il libro è interessante ed avvincente, oltre che trasudante di notizie non solo religiose.
Siccome mi scocciava prenotare una stanza per la sera precedente all’entrata in caserma ho telefonato alla sede stessa per sapere se potevo dormire lì la sera prima. Dopo avere rivolto la domanda tre volte e dopo avere capito che non c’erano problemi ho cominciato a mettermi nell’ordine delle idee che mi sarei dovuta portare dietro anche un vocabolario di napoletano – italiano oppure un piccolo registratore per potere riascoltare gli ordini che mi avrebbero impartito i soldati e avere il tempo di comprenderli.
Giunta quindi davanti al centro di reclutamento vengo mischiata insieme ad un mucchio di militari tutti belli in divisa chi per l’EI, chi per la Marina, chi per l’Aeronautica ecc… io sembravo un pulcino nero e mi sentivo un po’ osservata. Una soldatessa ci scorta in un edificio dove poi nei giorni seguenti io e i miei compagni di concorso avremo solo scaldato le sedie per i cd. “tempi morti”. Lì erano seduti altri militari. Da parte noto subito le donne e mi dico : -accidenti se devo concorrere con queste posso anche andare a casa, non c’è pezza-…Mi fanno mettere in fila insieme agli altri militari e si passa davanti ad un bancone dove raccolgono i tuoi dati… Il mio nominativo non lo trovavano e cerca cerca si capisce che si erano sbagliati e che mi avevano inserito in un concorso che non era il mio… In pratica tutti quei giovani di belle speranze erano già volontari vfp1 che significa che stanno dentro un anno ed erano lì a tentare la fortuna per il concorso vfp4 che avrebbe allungato di altri 4 anni la loro ferma. Questo concorso vfp4 è durato una settimana (parlo dei test preselettivi) e anche qui i concorrenti sono molti di più rispetto al numero dei posti disponibili… a far una botta di conti saranno stati 500 e passa al giorno… roba da girare la testa e da rifarsi gli occhi fin troppo.
Invece il mio concorso si chiama aufp che non è una parolaccia ma che significa Allievo Ufficiale Ferma Prefissata ed è riservato a vari tipi di laureati disperati come il pero dopo la raccolta.
Per il profilo amministrativo i posti sono 5; pochi direte voi, tanti se paragonati ai 2 posti per il profilo veterinario, solo per fare un piccolo paragone… e i veterinari erano tanti, così come i medici (già, anche per loro tempi duri nella vita civile)…i fortunati erano i fisici in rapporto 3 a due che significa che magari uno lo pigliano con riserva.
Quando hanno capito che io concorrevo per aufp nella sala è regnato il silenzio per qualche istante; le ragazze in divisa hanno strabuzzato gli occhi e io cercavo una figura di riferimento, mi sentivo persa.
Mi chiama un ufficiale – scusate nn conosco i gradi- che aveva la faccia da cecchino e mi fa compilare un foglio dicendo a voce alta :- Vieni dal nord con una laurea, ma che ci vieni a fare qui al concorso da ufficiali eh??? Si vede che non sapevi proprio come passare il tempo.- E Vi dirò che io una frecciatina me la aspettavo proprio visto le esperienze passate (discussione con un concorrente GdF che mi aveva accusato di RUBARGLI IL POSTO DI LAVORO) e ovviamente diplomaticamente gli ho risposto dicendogli – Questo è un pregiudizio. Mio padre ha fatto la guerra e il Suo? Io da piccola volevo fare il bersagliere, veda mo’ Lei-
Lui è stato zitto e quando gli ho consegnato uno dei miliardi di moduli dai quali è regolata la vita militare mi ha detto – Va bene, ci si vede domattina.- Uno a zero per me – mi sono detta e ho seguito la soldatessa accompagnatrice alla camerata assegnatami.
Le camerate delle donne si trovano in un edificio che comprende gli ambulatori psichiatrici – ci considerano proprio delle isteriche non c’è che dire – e ogni stanzone comprende 15 posti letto di quelli a castello con la rete e il materasso molle che fa il buco in centro. Quello che mi scocciava era fare e disfare il letto ogni giorno…ancora non utilizzano il comodo metodo tedesco del piumino- si farebbe tutto più veloce…io dormivo al piano alto, insieme a tante veterinarie che mi precedevano nelle prove di un paio di gg.
Alle 22.00 bisogna stare davanti alla branda per il cd. “contrappello”. Passa una soldatessa o un bel maschietto a fare l’appello a controllare che ci sei. Poi ci si può mettere in pigiama e svaccare come meglio si crede. Alle 22.30 squilla la tromba e alle 23 si spengono le luci e si accende un neon blu che dà fastidio se non si è abituati. Io ho risolto tale problema dormendo dalla parte dei piedi. In questo modo non avevo la luce sugli occhi e riposavo meglio… In ogni caso dopo il terzo giorno di sveglia alle 6,30 ancora non avevo preso il ritmo ed ero distruttina così decisi di passare a casa il week-end per riposare nel mio letto un paio di notti prima del grande slam (gli ultimi 3 gg). In tre giorni non mi ero abituata al rumorino di 15 reti da materasso cigolanti contemporaneamente; in pratica dormivo, ma non riposavo. La sveglia è alle 6,30 (trombetta) ma molti sono già svegli alle 6,00 e si sente un gran buttasù quindi tanto vale alzarsi e prepararsi psicologicamente alla nuova giornata. La colazione è alle 7, l’alzabandiera mi pare alle otto con relativo inno d’Italia e tutti i suoni provengono da un misterioso magnetofono. Il pranzo a mezzodì più o meno, dipende dalle prove concorsuali e si viene sempre scortati da un soldato in sala mensa. Il nostro accompagnatore preferito si chiamava LO GIUDICE. Il cognome dice tutto. Da noi a Faenza i Lo Giudice cambiano casa ogni tre mesi non comunicando il cambio di indirizzo, il postino impazzisce, li si vede in giro con BMW megagalattiche, tutti tirati col telefonino attaccato all’orecchio. Non si sa che attività svolgano. Meglio non indagare.
Sia questo Lo Giudice che l’altra soldatessa erano bene in carne e in una camerata vicina ho visto una vfp1 che era un armadio e davvero trasbordava dalla divisa. Lì ho cominciato a nutrire seri dubbi sulle visite mediche e mi sono chiesta se non era meglio che avessi avuto dei chili in più.
La colazione e il pranzo erano obbligatori, la cena no e Dio grazie. In genere una pizza al salame piccante a 3,50 euro allo spaccio toglieva la fame grossa. Lo spaccio sì che era una gran cosa, mi sono presa tutti i caffè che a casa non mi permetto, visto che costavano solo 35 centesimi e mi piaceva fermarmi in questo luogo di incontro per parlare con i concorrenti e i soldati di ogni tipo e di ogni dove. Nel cortile di ingresso c’erano anche dei bei tavoli e delle panchine di legno sotto grandi alberi che riparavano dal sole cocente dei primi giorni (gli ultimi ha fatto molto freddo e ha perfino grandinato).
Le merendine venivano propinate in ogni occasione e mi sembrava di essere tornata bambina negli anni Ottanta con la differenza che mancavano le sorpresine del Mulino Bianco. Sembrava che avessero fatto l’appalto con la Ferrero propinandoci parecchi Duplo, che io adoro, e Kinder Colazione Più. Non ho avuto il coraggio di chiedere se mi tenevano da parte le miniature dei Monster Allergy che sto collezionando. Non volevo che magari questa cosa arrivasse all’orecchio di qualche psicologo… Solo l’ultimo giorno ho provato le bevande del distributore automatico a colazione e ho capito che avevo fatto bene a non averle mai bevute. Pura brodaglia, potevano risparmiarsela. In genere la pasta a pranzo era cotta bene, il secondo non c’era male e la verdura era in misere proporzioni rispetto a quella che mangio a casa. Di conseguenza non ho cagato per 3 gg e me la sono portata a casa nel weekend.
Il pomeriggio le prove finivano in genere entro le 17. Sì, anche il personale del centro di reclutamento ha i suoi orari e mi sembra di avere capito che alle 16,30 staccano ; che bazza!
Noi potevamo uscire dalla caserma dalle 17 il che non aveva molto senso se la cena era alle 18 ma Foligno è così piccola che si riesce a fare quel che si deve in poco tempo se ci si organizza. Se ero stanca dormivo un po’ ed è capitato che avessi anche dei pomeriggi quasi interi o delle ore vuote anche di mattina. In pratica l’organizzazione di queste prove lasciava a desiderare. Si sarebbe potuto fare tutto in max 4 gg anziché 6 (otto per chi rimaneva il we). Non chiedetemi il motivo, ci saranno sicuramente buoni motivi. Comunque sarete d’accordo con me che non è facile concedersi una settimana libera per un concorso, soprattutto per chi già lavora. C’era anche un orario per lavarsi. In pratica l’acqua calda era disponibile dalle 16,45 in poi… i primi 3 gg comunque, tra l’afa e il bisogno di sveglia solerte,io facevo le docce fredde anche di prima mattina per poi scoprire che nell’ultima doccia l’acqua era sempre calda, mah…
Parliamo delle prove… non sto a scrivere un resoconto dettagliatissimo sennò qua scrivo 4 nl non una! Cmq ho dovuto superare 4 test psico psycho di varia natura: quello delle 600 domande, quello con i fumetti, il dossier personale e altri 2 test di domande che no ricordo, ma che si somigliavano molto l’una con l’altra.
Anche a detta degli psicologi stessi del concorso questi sono test desueti e un po’ inutili. In sede di colloquio con lo psichiatra, con lo psicologo e con la Commissione finale – che io ho denominato il Gran Consiglio del Fascismo – si faceva riferimento al dossier personale dove ci si autodescriveva in base ad una serie di domande e solo per metterti in difficoltà gli esaminatori si riferivano ad un paio di risposte poco chiare date ai test. Se si è tranquilli in genere salta fuori che la domanda /affermazione non era stata ben formulata e che si voleva dire bla bla bla. Per superare questi test bisogna anche pensare con la testa dello psicologo. Sono balle se si pensa solo con la propria testa. Ogni tanto bisogna dire il contrario, che sai che per loro e per gli altri va bene anche se tu avresti anche un’altra visione della situazione che sarebbe comunque giusta. Mai dimenticare che “LA SENTINELLA STA DAVANTI ALLA CASERMA PER EVITARE CHE ENTRI IL BUON SENSO” come dice mio padre. Non bisogna porsi la domanda del perché fare così come è ordinato,se si può fare cosà. Bisogna fare così e amen.
In specie a me è risultato gradito il colloquio con la psicologa. Era bassa, con i capelli biondi e crespi legati a treccia, aveva gli occhiali e gli occhi strabici. Io le guardavo il naso perché non sapevo come rivolgermi a tale personaggio senza risultare insistente sulla stranezza di quel viso. Ma forse ci è abituata. Siamo rimaste a parlare per una buona mezz’ora, era come una chiacchierata con mia madre. Mi chiedeva da dove venivo, cosa avevo studiato e le motivazioni relative, le mie passioni, perché volevo entrare nell’esercito, ecc… Il colloquio con lo psichiatra è simile ma più conciso essendo lui un medico ed era inquadrato nella mattinata delle visite mediche, esami urine antidrug, ecc… Visite ed accertamenti medici – peso, altezza- erano divisi in due giornate differenti. Alcune persone hanno dovuto ripetere alcune analisi, altre ragazze invece il test di gravidanza e questo non si capiva perché. Io ad esempio lo avevo fatto nello stesso giorno e
con le stesse
modalità di altre che lo hanno dovuto ripetere- forse che l’ospedale di Faenza sia rinomato tra le
Forze Armate?
Forse stavo simpatica al medico così, di primo acchito?O semplicemente fortuna??? Spero sia questa ultima, ogni tanto ci vuole. Crea nervosismo il fattore attesa, esame, risultato e ancora attesa. Di conseguenza si fa amicizia con i compagni di concorso e anche se non li conosci ti affidi a loro completamente spesso raccontandogli delle confidenze che non diresti neanche alla persona a te più cara. L’effetto quindi è un po’ Grosse Bruder, un po’ Band of Brothers e per quanto sia, è un’esperienza che lascia il segno ed io sono tornata cambiata. Sto ancora là con la testa. Mi è dispiaciuto andarmene quando il tutto era terminato – e mi scappava anche la popò…fin troppo, dopo-… Avevo i lacrimoni come quando da bambina tornavo a casa dalla colonia estiva con le suorine in montagna.
Il colloquio col Gran Consiglio era, a detta di loro, come un colloquio di lavoro (!!!). Io sono stata dentro un buon 20 minuti e mi hanno strizzato come uno straccetto chiedendoti l’inchiedibile (???) tipo – andresti in missione all’estero?- cosa ne pensa il tuo moroso??? Ahhh non hai il moroso?
Ma sì tanto lo sappiamo che ce l’hai ma chi se ne frega…-
- Sarebbe felice Suo padre se entrasse nell’ei???- ecc…. Tutti quesiti posti dalle tre persone del GC tra i quali figurava una bella donna ufficiale che avevo già visto i giorni scorsi in tenuta ginnica correre sul campo di atletica davanti alla sala mensa (hanno quasi terminato di ristrutturarlo). Il Gran Consiglio ha sentenziato di essere stato favorevolmente colpito dal mio entusiasmo, ma mi ha esortato a trattenere il mio carattere socievole quando mi troverò a comandare il mio team di sottoposti; ma che significa questa frase? Che sono dentro o trattasi di un “forza e coraggio” che alla prossima ce la fai?
Una parentesi a parte meritano le prove sportive che comprendevano, in ordine di esecuzione, sette flessioni sulle braccia (da compiersi subito dopo la colazione), i mille metri di corsa in sette minuti (ce la fa anche hyppo), il salto in alto 90 cm e la salita alla fune- queste ultime due prove erano facoltative e ti facevano guadagnare punti.
Io non mi ero preparata per il salto in alto perché non mi ero accorta di quella prova scritta sul bando – che addormentata!- indi per cui l’emozione mi ha fregato e ho superato l’asticella solo al terzo tentativo. In ogni caso, 90 cm sembreranno una stupidaggine, ma l’asticella poi ti fotte qualche cm in più – alla fine sono altri 5 cm in più tra asticella e piedistallo- e se non hai mai provato e sei basso come me – 1,61- il tuo impegno glielo devi pure mettere per arrivare di là. Ovviamente le prove sportive erano collettive e tutti vedevano quello che gli altri facevano. Non sono mancati exploit tra i più vari con conseguenti sonore risate. Io so solo che se mi veniva una parolaccia mi sfogavo senza chiedere il permesso. Il mio tormento era la salita della corda di 4 metri. Sinceramente non ci avevo pensato più di tanto ed ero sicura di non provarci neanche visto che non l’avevo mai provata in vita mia. La settimana prima mi era venuto in mente che alla palestra della ginnastica ritmica, lì al Palazzetto dove faccio boxe, avevano la corda e dopo vari consulti e consigli sul come salirla (Grazie MILITARIFORUM!!!) mi ci sono messa i giorni precedenti dopo l’allenamento. Essendomi venute le mie cosine – e per fortuna così a Foligno non le avevo- ovviamente ero in tremendo calo fisico e per un paio di gg nn sono riuscita a salire. Da notare che salivo a piedi nudi non tanto per non sporcare i tappeti della palestra della ginnastica, ma per riuscire a capire la tecnica di salita sensibilizzando i piedi. Ripetendo la cosa per un po’ però mi ha causato delle ferite atroci sul piede destro che stava sotto la corda a strisciare e a Foligno non facevo altro che mettermi dei gran cerotti perché si cicatrizzassero le ferite il prima possibile. Ovviamente non ero riuscita a salire questa benedetta corda e lì per lì mi sono detta beh, pazienza, non sarò né la prima né l’ultima che non lo sa fare. Ero comunque mossa da un senso di disperazione e di riscatto verso me stessa che mi diceva che qualcosa di buono potevo dimostrare di sapere fare. I tentativi di salita erano due perché salire la corda è impegnativo dal punto di vista fisico e in genere chi non ci riesce al primo tentativo poi non ci riprova.
Ovviamente non si poteva provare, quando si saliva, si doveva salire, non si poteva rimettere giù il piede, sarebbe stato già un tentativo in meno. Questa cosa mi fermentava nella mente una ferma convinzione di CE LA FACCIO, SI’ CHE CE LA FACCIO e anche un po’ di rabbia se permettete.
Gli ufficiali addetti alla palestra erano comunque molto disponibili e mi avevano aiutato a capire meglio il meccanismo che io, senza alcuna guida, i giorni precedenti ancora non avevo bene interiorizzato. Allora con un urletto tipo kiai sono balzata su e vedo che piano piano salgo su, solo che non sapevo come ero messa con i piedi e chiedevo di sotto di guardare come ero messa perché non mi arrischiavo a guardare giù. Ovviamente non avendo confidenza con la velocità di salita sono arrivata a tre quarti con le braccia a pezzi e sudavo come una matta: non ne avevo più per nessuno. Sono scesa e mi hanno chiesto se volevo ripetere. Ovvio che sì brutta corda bastarda! Mi sentivo un po’ Stiffler di American Pie 3 quando incita i suoi atleti di football durante gli allenamenti. Mi sono presa tutto il tempo necessario per stiracchiarmi e concentrarmi e ho riprovato con più foga e salivo. Ancora una volta a tre quarti ho avuto la crisi e mi sono fermata ma sono riuscita a risalire accidenti, ero vicina la famoso segno rosso vicino al gancio che bisogna toccare e mi mancavano 10 cm, ma non ne avevo più per nessuno. Volevo indefessamente salire, avevo la volontà di farlo, ma non avevo più le braccia e mi dicevo - dunque, adesso tiro su le gambe un pochettino così magari arrivo in cima, ma poi casco come un sacco di patate perché non mi reggo e la cosa non mi aggrada mica tanto.- Sentivo già che tutti facevano il tifo e che gli ufficiali facevano scorrere il tempo più del dovuto per vedere se gliela facevo. Io so che urlavo delle imprecazioni e cose tipo -sì, sì fino alla Vittoria!-, ma alla fine ho dovuto cedere anche perché mi avevano chiamato giù e scendere è più faticoso che salire. Risultato; non ho toccato il segno rosso, ma tutti gli ufficiali mi hanno fatto i complimenti perché nessuno di loro aveva visto una ragazza impegnarsi tanto per salire su e rimanere appesa in alto per ben 2 minuti!!! Questa notizia ha fatto il giro del centro di reclutamento e i giorni dopo ho ottenuto un permesso per riprovare la corda per i fatti miei e dàgli oggi, dàgli domani, l’ultimo giorno della mia permanenza ce la feci; mannaggia! Ovviamente approfittavo della palestrina per fare un po’ di ginnastica assieme agli altri soldati, tanto non c’era ressa e tutto era tranquillo. In fin dei conti mi è andata bene. Forse se fossi stata una Tarzanessa della fune non avrei guadagnato tale rispetto e momenti di gloria. Ogni tanto quindi essere persone normali e dimostrare la buona volontà serve a qualcosa anche nel mondo reale.

Durante la mia permanenza nel centro di reclutamento non potevo fare a meno di studiare le divise dei militari. All’altezza del petto la tenuta mimetica sulla destra mostra la scritta “esercito” mentre sulla sinistra vi è il cognome del soldato. Ovviamente i cognomi erano i più disparati e più o meno buffi. Io amavo fare gli accoppiamenti delle scritte. Per esempio, uno di cognome faceva Infelice, quindi unendo le due scritte saltava fuori ESERCITO INFELICE, che in fondo rappresenta le nostre Forze Armate nella loro essenza. Altri accoppiamenti degni di nota: esercito romano, esercito tedesco, esercito infedele, esercito lombardo, esercito trombone…
Credo che si potrebbe fare un bel progetto fotografico su questa cosa, anche a livello di marketing per l’ei, molto più efficace della pubblicità che ho visto sui giornali femminili, improntata su uno slogan sociale che con l’immagine di una bella soldatessa felice ha poco a che fare.

Ultimamente sui muri di Faenza un giovine di belle arti si diverte ad attaccare le piastrelle decorate da lui con disegni che mi fanno venire in mente gli Ominidi di Venus. Questo “piastrelling” immagino faccia parte di uno sviluppo dello “sticking” che vedevo anni addietro in giro per Bologna. Questi erano adesivi fatti in casa con qualsiasi tipo di materiale e decorati autonomamente con i disegni più strani. Li ho trovati attaccati sulle cabine, ai bordi delle strade, sui portarifiuti…E’ un effetto gradevole vedere quando meno te lo aspetti un simpatico personaggio che ti saluta o cerca di comunicarti un messaggio incisivo solo con la sua espressione o con poche parole. E lo trovi lì, dietro un angolo, sopra una buchetta o chissadove. A Torino c’è chi fa il piercing ai palazzi…
Io adoro la comunicazione. Mi affascina il mondo dei pittogrammi, in special modo di quelli in terra straniera. Addirittura là in Norvegia hanno i segnali stradali che segnalano la presenza degli gnomi.

Il mese scorso mi sono recata in visita alla Villa Romana a Russi – RA- e alla relativa oasi del WWF. Troppo bello davvero. Questa villa, della quale rimangono le fondamenta e splendidi pavimenti a mosaico è la seconda più grande del genere scoperta in Europa. Apparteneva ad un commerciante che si arricchiva con i traffici via fiume verso il porto di Classe a Ravenna, all’epoca importante presidio militare. L’oasi ecologica è abbastanza estesa e comprende dei percorsi da farsi a piedi o in mtb e uno in particolare è dedicato alla presentazione dei vari ecosistemi esistenti nelle nostre campagne. Tutto spiegato da comodi pannelli che forniscono notizie davvero interessanti.

Sempre in zona ho finalmente espugnato la fortezza del MAC, il Museo dell’Arredo Contemporaneo. Era una vita che mi chiedevo cosa ci fosse lì dentro e finalmente la mia curiosità è stata appagata. In uno stanzone vi è un outlet permanente della collezione Biaggetti. Ovviamente bisogna avere dei liquidi per permettersi di comprare qualcosa lì dentro. Ci sono degli arazzi giganteschi veramente di grande effetto che non mi dispiacerebbe vedere in casa; peccato che non abbia i muri ad altezza LOUVRE.
L’esposizione presenta, in un ambiente buio, un excursus della storia prevalentemente della sedia e della poltrona passando poi per tavoli, punti luce, ecc…. Vi sono pezzi unici di artisti e designer famosi tipo Gaudì, Mackintosh, Frank Lloyd Wright… perfino la famosa poltrona a forma di guantone da baseball.

Villanova di Bagnacavallo è una frazioncina in campagna dove giace mia madre RIP! Non presenta ovviamente niente da rilevare se non gli appuntamenti del mercatino all’aperto. All’anima del mercatino, ci ho messo tutto un giorno per vederlo tutto per bene e ne ho approfittato per visitare il museo della civiltà palustre che non pensavo neanche che esistesse. Un ometto mi ha fatto da guida e mi ha raccontato di un mondo che non c’è più che era quello dove è anche vissuta mia madre: che miseria! Ci sono ancora persone che intrecciano le erbe palustri e creano oggetti di ogni tipo: ceste, sedie, borse, scarpe… ne sono esposte perfino un paio appartenute alla Regina Margherita.



L’I-taglia si è desta! Ho scritto apposta sbagliato per riferirmi a questa estate ormai imminente. La corsa alla taglia da sfoggiare in teoria dovrebbe essere terminata ma c’è ancora tempo per qualche ritocchino. Io sinceramente quest’anno mi permetterò più gelati rispetto agli anni passati. Ho cominciato a Roma dove sono stata da poco per un altro “viaggio della speranza”, uno di quei megaconcorsi che quando ci sei ti dici “ma perché ci sono?”. Il bando era uscito due anni fa. Mi riferisco al concorso da Commissario Forestale. Ci sono 40 posti mi sembra. In sede di preselezione ci è stato comunicato che le domande inviate erano 12mila mentre i presenti alle prove preselettive milleduecento… Questa è già una prima selezione; immagino che nei due anni di rinvio della data di partenza ci sia stata una diaspora generale.
Io avevo prenotato una camera dalle suore della Casa di Nazareth sita nei pressi di Via Boccea. Mi era stato spiegato come raggiungerle, ma non avevo capito bene, così, uscita dalla stazione metro Cornelia mi sono persa subito. Mettendo in pratica il proverbio del “chiedendo si va a Roma” alla fine ho raggiunto la Casa che cercavo. Si trova parallela alla via Boccea, ma la differenza sta che non c’è l’inferno caratteristico della Via Boccea (come di altre strade di Roma del resto). Davanti alla Casa c’è un circolo Acli dove gli anziani giocano a carte e la Chiesa di San Filippo Neri dove i bambini giocano nel cortile. Insomma un piccolo quartiere residenziale dove le agenzie di assicurazione hanno ufficio nei garages accanto ad altre varie attività.
Dopo una bella doccia di pomeriggio inoltrato decisi di farmi un giro per la Capitale.
In questa via Boccea ho visto il negozio più bello del mondo – almeno per me- .Si chiama Castroni e non vende castronerie come si potrebbe dedurre dal nome. Al contrario è un mega spaccio mondiale. Ha tutto il commestibile da ogni parte del mondo; cornflakes britannici doc, tanti tipi di tisane ed infusi, tè indiano puro, caffè, caramelle, cioccolata, marmellate, polline, liquori…
Io lì mi sono concessa un gelato davvero delizioso, ho comprato una tavoletta Lindt con arancia, pinoli e mandorle e due confezioni di Twinings particolari (camomilla- miele- vaniglia e lime- rosa). Siccome mi erano venute le mie cose e faceva un caldo infernale piano piano mi sono diretta verso la metro che ho preso per raggiungere la Fontana di Trevi. Certo, non si può più fare i turisti come un tempo. Ora è preferibile comprarsi un bel dvd e godersi gli spot di Roma con la visita guidata ai musei vaticani comodamente seduti in poltrona. Per fortuna che la fontana di Trevi è enorme, sennò sarebbe sepolta dalla marea di turisti, zingari e pakistani con la rosa in mano. A piedi cammina cammina e seguendo la mia fida vecchia mappa arrivo fino a San Pietro. Avrei voluto camminare ancora, era troppo grandioso essere padroni delle strade a quell’ora della sera mentre tutti si accingevano a seguire la prima partitia della Nazionale ai Mondiali alla tv, ma la mia mappa arrivava solo fino al Vaticano e chiaramente temevo che se avessi proceduto a usta sulla base del mio orientamento basato sulle stazioni metro mi sarei persa. Non posso permettermi un cellulare col gps al momento… Arrivata a casa comunque ho sentito che ero stanchina e mi sono fatta preparare una camomilla calda. Queste suore salta fuori che erano Spagnole, così ne ho approfittato e ho parlato Spagnolo anche io. In questo modo mi hanno trattato anche meglio e il giorno dopo a colazione ho scafato di brutto. La prima sorpresa che mi aspettava in uscita alle 7,20 è stata una cavalletta gigante che, sicuramente attratta dai miei allegri elastici per capelli – di spugna colorata con fiori, farfalle e animali vari – si è posata sulla testa e poi si è avvinghiata al mio dito. Chiaramente così di prima mattina io mi sono spaventata e ho cominciato a gridare come una matta in mezzo alla strada, per fortuna che non c’erano troppe persone in giro, perché mi sono spaventata pure io delle mie urla. Il bus 309 era già pieno quando sono salita e in 10 minuti ci ha portato alla Scuola di Polizia Penitenziaria, luogo dove si svolgevano le preselezioni. Si trova già in un’area verde, in campagna direi e occupa una collina intera. Chi lavora là si trova in paradiso visto che dispone di poligono, piscina, alloggi, mensa, ecc… La prova era davvero tosta, 120 domande da farsi in 120 minuti il che non è tanto se si pensa che certe domande sono così lunghe e contorte che ti ci vogliono 30 secondi almeno per leggerle. Insomma una selezione degna da un concorso in magistratura, anzi peggio, visto che c’era anche della economia politica. Io davvero di procedura penale non ricordavo niente e mi chiedo cosa se ne faccia un commissario forestale della procedura penale. Tanto mica è un magistrato. Certo, arresta i bracconieri ma poi mica li porta al processo, mah!!! Non parliamo poi dell’economia politica… davvero questi concorsi formulati in questo modo non li capisco, sono solo un dispendio di spesa pubblica e basta.
All’uscita ero così sconvolta che sono sfrecciata giù direttamente dalla collina scoscesa anziché prendere il sentierino apposito, facevo finta di avere una tavola ai piedi e che ci fosse la neve sotto (a proposito, chissà se la mia fida nitro sta ancora fra gli alberi della Mittestation di Schladming o se davvero me l’hanno tirata giù).
Al ritorno in treno rimiravo i miei souvenir…un bell’acquarello rappresentante una veduta di una vecchia casa di Trastevere, i magneti con le foto del cinema in bianco e nero e la mia cioccolata che mi sono mangiata subito.
L’eurostar avendo avuto settanta minuti di ritardo a causa della rottura di una scambio a Firenze davvero ha reso il viaggio più faticoso, almeno per me… per sgranchirmi le gambe passeggiavo per i vagoni e osservavo le facce sconvolte dei passeggeri, turisti compresi. Una signora Tedesca imperturbabile leggeva il Die Zeit mentre alcuni Americani dormivano della grossa tenendo in mano la loro guida dal titolo “Western Europe”. Ok,- ho pensato- togli Europe e lascia Western…
Effettivamente avevo predetto che sarei tornata con la diligenza ma non davo affidabilità alle mie doti da veggente. Il viaggio di andata lo avevo fatto in prima perché volevo essere più che sicura di stare tranquilla ma poi ho scoperto che era piena pure quella e che molti dalla seconda passavano in prima visto che non potevano raggiungere i loro posti a causa delle valigie ammucchiate agli ingressi.

















STRATAGEMMI PER PARCHEGGIARE


Tutte le volte che mi reco all’ospedale Pierantoni di Forlì sorge il dilemma: parcheggiare o bestemmiare? Tentare di parcheggiare nel piazzale “vecchio” vicino al complesso ospedaliero o nel parcheggione nuovo più lontano dal quale devo camminare decisamente di più per raggiungere l’ospedale?
Dovete sapere che l’ospedale Pierantoni di Forlì sorge al di là del fiume in località Vecchiazzano.
E’ composto da un paio di edifici dell’epoca del Ventennio e da altri edifici nuovi di pacca aggiunti successivamente. Ancora stanno costruendo e non si capisce quando finiranno.
Il babbo del mio babbo – indi il mio nonno Ugo- lavorò alla costruzione del complesso originario che nacque come sanatorio- sull’egida del programma sanitario del Regime di allora- . Ancora mio padre conserva una foto di Ugo, di quel cartoncino giallognolo e marrone che ti fa capire quanto è vecchia la foto, anzi la “fotina”, visto le misure davvero minime. Si vede questo casupolino di legno tutto aperto (cioè senza vetri o altra protezione dagli agenti atmosferici- papà ha detto che il vetro una volta c’era ma che poi ovviamente col tempo si è dileguato e chi aveva i soldi per metterne un altro…) appoggiato a quattro pali alti dal quale si scorge una testa che deve essere quella del nonno. Dalla foto non si capisce quanto sia alto quel casupolino ma mio padre mi ha detto che era posto molto in alto e che per arrivarci occorreva salire una scaletta di ferro. Ovviamente questo accadeva tutti i giorni e con pioggia, neve, grandine o vento il nonno si recava lassù e ci stava tutto il giorno; non poteva certo permettersi di rischiare l’osso del collo per tornare giù a ritirare il misero pasto che la moglie gli portava con la bicicletta percorrendo la strada all’epoca di campagna che dal centro città conduceva fin là. La nonna Mariucì si recava a trovarlo a mezzodì per portargli una scatoletta di latta contenente il pranzo, in genere una minestra (se arrivasse calda poi non si sa) contenuta in una scatoletta, il brodo in una bottiglia e un pezzetto di pane. La scatola veniva legata ad una cordicella che il nonno calava giù dall’alto del suo cubicolo e quindi trainata ai piani alti. La pelle del coniglio che si ammazzava una volta l’anno veniva fatta essiccare con della paglia in mezzo e la nonna faceva il berretto e i guanti al nonno in questo modo. Papà dice che sembrava un mugik …
Mi piacerebbe che i giovani di oggi pensassero un po’ a tutti quei lavoratori che ci hanno rimesso le penne per potere costruire certi edifici dei quali noi a tutt’oggi godiamo il servizio.

Tornando al parcheggio, allora ripeto, ce n’è uno grande, che io chiamo il “vecchio”, che sta proprio davanti agli edifici ospedalieri (gli edifici si affiancano uno all’altro e a zig zag davanti e dietro) e un altro nuovo enorme parcheggio che invece sta al di fuori del complesso, al di là della strada nuova che fiancheggia l’ospedale, quindi non così immediatamente vicino come il primo.
Tutte le volte che mi capita di recarmi al Pierantoni mi trovo ad affrontare delle problematiche nuove, differenti e che mi fanno riflettere.
Innanzitutto quando decido di parcheggiare nel parcheggione nuovo non riesco a capire da dove si entri. Questo non mi capita solo con questo parcheggio ma anche con tutti gli altri parcheggi nuovi, tipo quelli dei centri commerciali. Le indicazioni non sono chiare, ci sono troppi cordoli di cemento e ti fanno fare dei chilometri inutili prima di arrivare a trovare un posto libero. Mi fa ricordare le file e mo’ di labirinto che facevo da piccola con i compagni di scuola all’ingresso del castello di Dracula a Gardaland.
Insomma, non è la prima volta che mi capita di entrare in senso vietato a causa della mancata chiarezza delle indicazioni e io odio contravvenire al codice della strada anche perché è noto che a Forlì le multe fioccano.
Ma il vero problema è un altro.
Malgrado tutti sappiano che è praticamente impossibile trovare da parcheggiare nel parcheggio vecchio, che hanno creato il parcheggione grande per ovviare al problema e che il numero delle auto aumenta a dismisura, tutti si ostinano ad entrare nel parcheggio vecchio e a tentare la fortuna prima di uscire per recarsi in quell’altro.
La lotta per la conquista del posto è cruenta e difficile e non viene risparmiato un colpo.
Io oggi posso però vantarmi, dopo diversi tentativi più o meno riusciti, di avere affinato la mia tattica personale per la conquista del posto auto.

1) Evitare di cercare il posto tra le 7 .20 e le 8.35. A quell’ora sono in corso i prelievi e la maggior parte delle analisi quindi trovare posto nel parcheggio vecchio è una utopia. Dirottare sul parcheggio grande. Altrimenti arrivare prima o dopo (io in genere vado dopo).
2) Guidare piano non solo per l’incolumità dei passanti ma anche perché i passaggi sono stretti e si deve avere il tempo per studiare le persone in uscita dall’ospedale.
3) A questo punto se si vedono delle persone sparse in mezzo alle auto osservarle con cura e circospezione. Cosa hanno in mano? Delle chiavi? Una busta gialla? Dei fogli bianchi? Se sì, bene, seguitele. Le tracce dimostrano che sono appena uscite dall’ospedale (col risultato analisi o il foglio per ritirarle) e stanno recandosi verso la loro automobile.
4) Fare l’abbinamento persona-conducente e auto parcheggiata il più in fretta possibile. Capire se ci sono dei potenziali nemici- concorrenti allo stesso posto nelle vicinanze. Se possibile annientarli con tecniche subdole tipo : -Ah, no! Io di qui non mi sposto! Non faccio marcia indietro nossignore! Il posto l’ho visto prima io! Se tu andavi più veloce (o più lento) sono cacchi tuoi!-
5) Se il nemico è stato più veloce e/o ti precedeva di gran lunga, non c’è niente da fare. Non perdere tempo nell’ammettere la tua sconfitta e setaccia subito nuovamente il piazzale per un nuovo passante con un qualcosa in mano.


L’ultima situazione che mi trovo a risolvere all’uscita di ospedali e centri commerciali è “ritrovare la mia automobile”. Le persone più sveglie cercano dei punti di riferimento per ricordarsi dove hanno posteggiato l’automobile, io invece quasi mai essendo la mia mente già dentro l’edificio dove intendo recarmi. Insomma la mia RAM personale tende al futuro piuttosto che al presente. Una volta ci ho messo mezz’ora per ritrovare l’automobile che avevo furbescamente parcheggiato dietro un cartellone pubblicitario di pompe funebri. Avevo pensato che lì la trovavo di sicuro e invece ha sortito l’effetto contrario.

Terminato il 16-06-06 Sofia Vicchi